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domenica 15 aprile 2012

Poco prima dell'amore


Testo di Alessandro Scarpellini 

Un grido svegliò la strada. Una donna scarmigliata, battendosi il petto nudo, maledisse dalla finestra un cecchino, che aveva sparato ad una luce, al suo ragazzo che si spogliava. Si erano permessi solo il tepore di un lume. La luna, quella sera di stelle, pareva una barca dalla prua ricurva, una culla, una mezzaluna per tritare le erbe colte nel campo. Il fragore del vetro rotto, spezzatosi in una trina sanguigna, li aveva sorpresi poco prima dell’amore.
Il ragazzo, sfiorato dalla morte, si era rannicchiato su se stesso, come per rifugiarsi nel calore del ventre materno. La Via Lattea, lontana, si perdeva in una immobile marea di punti luminosi. Non aveva più la forza di stendere le braccia, mutarsi in cicogna o airone, e volare via nel buio della sera. Vomitava sangue. Un colpo solo, un solo colpo, sparato nella notte. Fece una goffa capriola, si lasciò cadere nel niente. Venti anni forse non ancora compiuti..
La ragazza, nuda nel letto, si coprì con le lenzuola, in un gesto infantile, quasi avesse timore di essere vista dalla luna. Una scheggia di notte aveva ucciso la speranza, l'amore. Proiettili vaganti, senza alcuna differenza, massacravano chi credeva o non credeva in Dio, gli angeli terreni e gli angeli custodi. Il suo seno, un giorno a venire, sarebbe stato gonfio di latte per il suo bambino. Ora aveva capezzoli piccoli, duri, e una dolce ferita in un pube ombroso. Mai aveva avuto la forza di gridare.
Urlò, e il lume tremò, ma non si accesero le luci della città. Il vento mosse piano i suoi capelli corti, crespi. Aspettò, per sé, un altro proiettile, socchiudendo gli occhi stanchi. Voleva morire gridando al mondo l’orrore della guerra. Nuda, una bellezza sconvolgente, offrì il cuore al tiratore scelto, di cui non vedeva il viso.
Il silenzio.
Si nascondeva su qualche tetto, in un solaio di casa abbandonata, nella sera fredda e stellata. Nessuno si mosse, niente successe.
Solo il silenzio.
Urlò ancora per farsi sentire, scoprire, uccidere. Una farfalla notturna vorticava attorno al lume, rischiando di bruciarsi le ali e morire. Soffiò. Il fremito delle ali era lieve, leggero, come le mani di lui, quando le carezzava la schiena nuda, sussurrandole di lasciarsi andare e che avrebbero vissuto insieme. Proprio sotto alla nuca, su una spalla, una coccinella di sangue.
Uno specchio rifletteva la sua immagine disperata, invecchiata. Era finita la giovinezza. Gli occhi, riflessi nella penombra della stanza, la ferivano.
Una sedia di paglia sfondata, un cappello da giovinetta con un nastro azzurrino, e la foto della madre fuggita via. Si sedette. Un mazzolino di fiori secchi, una credenza vuota, un po’ di pane e un piatto di ceramica bianca. Sussurrò un nome all’immagine riflessa nello specchio, un suono semplice e senza senso. Gridò ancora. Poi, non vedendo altro che il buio, si rassegnò al silenzio.
Carezzò le spalle nude, forti, muscolose del giovane uomo. Non respirava più. Le massaggiò con dolcezza, senza fretta. La farfalla, affascinata dalla luce del lume, le girava intorno, sfiorandole i capelli. Si acquietò. Chinatasi su di lui, gli parlò sottovoce, e lo chiamò amore.
Si sporcò le mani di sangue.
Lo baciò, sollevò il suo capo, e gli offrì il seno. Non aveva ancora latte. Il fiume, fangoso, scorreva verso Gorazde. Una ninnananna per il suo bambino.
© Alessandro Scarpellini

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